Caro pane e pasta per la guerra, il settore agroalimentare è in grande allerta

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I riflessi sull’Italia e in Toscana: aumentano pane, pasta e fertilizzanti ma anche i combustibili per autotrazione.
Prima dell’esplosione del conflitto, Confagricoltura aveva rassicurato che l’Italia e l’Ue non corrono grossi rischi sul piano della sicurezza alimentare, godendo di una certa autonomia produttiva, ma a tavola il pane inizia comunque a costare di più di circa il 10 per cento. L’Italia produce circa il 65% del grano necessario a coprire il fabbisogno dell’industria della trasformazione. Il restante 30-35% viene coperto dalle importazioni, che in parte dipendono dalla superiore qualità del grano estero. Pur potendo permettersi di rinunciare al grano ucraino e russo, i prezzi rischiano di risentirne lo stesso, con il valore delle scorte che ha raggiunto +86% rispetto alla quotazione media del 2020 per il grano nazionale, e +108% per quello di importazione extra europeo.

Il nostro Paese, inoltre, sta fronteggiando da tempo la messa al bando dei prodotti ortofrutticoli e di carne suina decisa nel 2014 dalla Federazione russa come reazione alle sanzioni che l’Ue aveva adottato dopo l’annessione della Crimea. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, ha previsto un’ulteriore stretta da parte di Mosca, che potrebbe incrementare le perdite subite dall’Ue, pari a circa 7 miliardi di euro nel 2020. Il conflitto in corso, e la conseguente crisi diplomatica, rischia di far allungare l’elenco dei settori di punta del Made in Italy colpiti, in primis quello vitivinicolo, dato che siamo i secondi esportatori Ue verso la Russia. Anche il comparto della pasta potrebbe soffrire.

Il vero colpo all’agroalimentare potrebbe arrivare, però, dai prezzi di importazione dei fertilizzanti (già raddoppiati nell’arco dell’ultimo anno), di cui la Federazione russa è tra i principali produttori a livello globale. Nell’ultimo trimestre del 2020, il prezzo dell’urea (un fertilizzante particolarmente diffuso) è salito del 245%. “Rischiamo di non avere a disposizione le quantità necessarie di fertilizzanti per i prossimi raccolti. E il blocco dell’attività nel porto di Odessa potrebbe far collassare il mercato internazionale dei cereali”, ha sottolineato Giansanti in una nota. Si attendono indicazioni dal prossimo Consiglio europeo.

Il clima di guerra, sottolinea Mauro Agnoletti, professore associato dell’Università di Firenze e coordinatore scientifico dell’Osservatorio nazionale sul paesaggio rurale (ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, Mipaaf), “sta facendo lievitare anche i prezzi del pane e della pasta procurando una ulteriore stangata, oltre a quelle energetiche, alle famiglie italiane”. E per risolvere almeno in parte il problema, a detta di Agnoletti, va ricercata una maggiore indipendenza alimentare esattamente come si sta cercando una maggiore indipendenza energetica. “La guerra, incidendo sulle notevoli importazioni di cereali da Russia e Ucraina – osserva Agnoletti – porta a una riduzione degli approvvigionamenti e un aumento dei prezzi e suggerisce una riflessione sulla necessità diventare più autosufficienti da questo punto di vista dato che i terreni agricoli per coltivare cereali certo non ci mancano. Ciò non solo per non dipendere dall’estero almeno dal punto di vista alimentare, ma anche per produrre prodotti tipici realmente italiani e non solo ‘lavorati’ in Italia, con la pretesa paradossale poi di proteggere il Made in Italy”.





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