Carni rosse? Moderazione sì, ma anche qualità

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Non è il primo allarmismo sulle carni rosse, quello lanciato nei giorni scorsi dall’IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione, che fa parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e che rappresenta la massima autorità in materia di studio sugli agenti cancerogeni. Negli ultimi anni abbiamo sentito spesso questo allarme, poi sempre successivamente moderato, se non finito nel dimenticatoio dopo giorni accesi di dibattiti e battaglie a suon di studi e ricerche. Oggi, ad essere sul banco dei principali imputati, sono le carni rosse lavorate, cioè quelle salate, essiccate, fermentate o affumicate e trattate di norma con additivi, tra cui i conservanti, per migliorarne il sapore o la conservazione, che sono state catalogate dall’IARC tra i cancerogeni “certi” (gruppo 1) e le carni rosse in generale, come manzo, maiale, vitello, agnello, ecc., che sono state invece inserite nella lista dei “probabili” carcinogeni per l’uomo (gruppo 2°).

Il dibattito è ancora aperto, ma la questione in discussione sembra riguardare soprattutto la quantità di consumo. Gli oncologi, compresi gli stessi studiosi dell’IARC, focalizzano le loro rassicurazioni sul fatto che è l’eccesso a determinare possibili problemi di salute e quasi tutti gli esperti sembrano chiudere la questione concordando sul fatto che consumare carne rossa al massimo una o due volte alla settimana non determina particolari problemi di salute. Sulla questione abbiamo chiesto un parere al professor Matteo Giannattasio, medico e agronomo, già docente del corso “Alimenti e salute del consumatore” all’Università di Padova e studioso del rapporto tra salute e qualità del cibo: “Tra i fattori principali da considerare in materia di cibo, va annoverata anche la qualità” afferma Giannattasio. “Il problema fondamentale è che spesso i prodotti che troviamo in commercio, non rispettano appieno questo sostanziale requisito, sebbene rispettino gli standard richiesti per legge”. Secondo il professore, dunque, è il “valore” del cibo che dobbiamo ricercare, stando attenti agli allevamenti di produzione, agli additivi e agli altri prodotti utilizzati nelle preparazioni più per finalità tecnologiche che nutrizionali, e, soprattutto nel caso di carni lavorate, ai tagli utilizzati. Certo, non è facile leggere le etichette, perché noi consumatori non sappiamo esattamente cosa significano sigle come “E331” o altri strani numeri o nomi (quanti consumatori sanno che tipo di carne è quella indicata in etichetta come “carne separata meccanicamente”?), né tantomeno del loro effetto sulla nostra salute. Allora come fare? “Nel caso, ad esempio, di insaccati come i wurstel, è utile in primo luogo confrontare i prodotti verificando la quantità di carne percentuale presente. Il taglio non è quasi mai indicato, ma è bene preferire carni che provengono da allevamenti biologici. Un altro fattore da confrontare fra le varie marche è la quantità di ingredienti diversi dalla carne, come zuccheri, additivi e aromi. Più ce ne sono e più scadente è il prodotto. Per gli aromi, meglio le spezie naturali che le sostanze di sintesi”.

Un confronto su tre marche diverse di wurstel di carne suina che può fornire diverse indicazioni nella scelta è stato pubblicato dal prof. Giannattasio sul sito di Valore Alimentare, di cui è direttore scientifico. “Per quanto riguarda le altre carni conservate o essiccate – continua il professore – è bene preferire prodotti il cui taglio sia visibile, come nel caso di speck e prosciutti crudi. Diverso è il caso dei prosciutti cotti o degli insaccati come la mortadella, il cui contenuto viene impastato e lavorato”. Per quanto riguarda invece il consumo di carni rosse tal quali, secondo il professore “una bistecca di bovino allevato bene, avrà i giusti nutrienti e un minor contenuto di grassi saturi, conterrà meno acqua e avrà più sapore. Sarà inoltre minore il rischio che contenga antibiotici o residui di pesticidi. Fermo restando che il consumo di carni rosse, in tutti i casi, va moderato rispetto a quello che vediamo sulle nostre tavole” e in questo il professore concorda con gli altri esperti: “Non più di una o due volte alla settimana e accompagnata da un abbondante contorno di insalata” ma ci tiene a dire però che “si può vivere benissimo anche senza mangiar carne”.

Siamo dunque un po’ più tranquilli, noi toscani amanti della carne. Non è dannoso mangiarla, se usiamo la moderazione e badiamo alla qualità, che nella nostra regione non manca di certo. Del resto i nostri antenati, al tempo in cui vivevano di caccia, di carne ne avranno mangiata tanta.

 

Chiara Pietrella

 

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