Lotta per il tartufo, cambiano le regole di raccolta in tutta Italia, la Toscana indica l’inizio al 10 settembre, i tartufi provenienti dall’estero, timori e preoccupazioni tra gli addetti ai lavori, il dilemma delle tartufaie coltivate private
Un articolo apparso sul quotidiano La Stampa punta l’attenzione sulla stagione dei tartufi che interessa anche la Toscana, ma le problematiche attorno alla petita d’oro, ogni anno, non vengono mai meno, pubblichiamo ampi stralci dell’interessante scritto dello storico quotidiano torinese che vanta valenza nazionale.
-Le regioni italiane, tenuto conto dei cambiamenti climatici e dell’impatto delle temperature più calde sul ciclo di maturazione del prezioso fungo ipogeo, hanno preso e cambiato il calendario di raccolta e commercializzazione, posticipando con apposite leggi l’avvio della stagione. Lo ha fatto il Piemonte, che per il Tuber magnatum Pico ha deciso la data al primo ottobre (era il 15 settembre) così come le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e l’Emilia Romagna, e lo ha fatto anche la Liguria, che ha fissato la data cioè il 25 settembre. Solo la Toscana ha tenuto il timone, con data il 10 settembre. L’intento generale, condiviso con associazioni trifolao, fiere ed enti promotori, è quello di offrire ai consumatori un prodotto nelle migliori condizioni qualitative, espressione autentica del territorio e delle sue tradizioni.
Ma il tartufo, fedele alla sua fama, può essere protagonista di manovre. Infatti, una nota del ministero dell’Agricoltura che dovrebbe essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale precisa che i tartufi coltivati dalle aziende agricole nei propri fondi recintati, configurandosi come prodotti ortofrutticoli e non come prodotti spontanei della terra, non sono soggetti alle limitazioni dei calendari regionali di raccolta. Se ritenuti sani e nella giusta maturazione, possono essere commercializzati «indicando la natura agricola del tartufo nel documento di cessione e di acquisto».
Inoltre, la medesima normativa si applica ai tartufi provenienti da altri Paesi dell’Unione europea, o dal mercato internazionale, indicando l’origine del tartufo. Quindi potrà capitare che in queste settimane di settembre, mentre i trifolai restano in panchina per rispettare il periodo di fermo biologico, nei negozi e ristoranti piemontesi i turisti trovino già disponibile il tartufo bianco, purché con l’indicazione «coltivato» o la dichiarazione di provenienza dalla Croazia o dalla Slovenia. Apriti cielo. Forse un tentativo aggirante che rischia di creare confusione tra i consumatori? I pareri si moltiplicano e si si dividono.
“Ci sono imprenditori che hanno fatto investimenti importanti sulla coltivazione (privata) del Tuber magnatum Pico e stanno ottenendo buoni risultati” afferma un venditore e proprietario di azienda agricola.” Se è correttamente gestita, la vedo come un’opportunità, non come un problema. Il consumatore può avere a disposizione un prodotto trasparente, con una provenienza chiara e tracciata». E aggiunge: «Da noi le tartufaie private sono ancora poche, ma stanno crescendo e la tecnologia sta facendo progressi. Non basta un calendario a stabilire quando un tartufo può crescere».
Di diverso avviso il pensiero di Antonio Degiacomi, presidente del Centro nazionale studi tartufo. «Mi sembra un crinale molto pericoloso – dice -, che rischia di danneggiare l’immagine del tartufo e di mettere in difficoltà il sistema dei controlli, aprendo la strada a vari artefici. Con il calendario posticipato abbiamo lanciato un messaggio di attenzione verso la salvaguardia dell’ambiente, ora con questo escamotage si rischia di vanificarne l’efficacia per fini puramente commerciali». Sulla vendita dei tartufi esteri, Degiacomi è ancora più perplesso: «Viva la trasparenza, ma promuoverli significa essere in contraddizione con la valorizzazione dei tartufi locali. Temo confusione, scontri burocratici e controlli ancora più difficili».
Che ne pensano i cercatori? Uno di questi afferma : «Se un tartufo non è ancora integro nelle tartufaie naturali, non lo è neanche in quelle coltivate, perché il cielo è uno solo. Non vorrei che con questo espediente si iniziasse a commercializzare prodotti non pronti, danneggiando l’intero settore. È una scorciatoia di cui non abbiamo bisogno».
Fonte
La Stampa